STRATEGIE, RISCHI E NUOVE NARRAZIONI NEL RACCONTO AMBIENTALE.
INTERVISTA A STEFANIA DIVERTITO, GIORNALISTA, CAPO UFFICIO STAMPA MINISTERO TRANSIZIONE ECOLOGICA 2018-2022
Raccontare l’ambiente oggi significa trovare un equilibrio tra informazione scientifica, percezione pubblica e strategie comunicative sempre più rapide. Il rischio è duplice: da un lato l’allarmismo che genera assuefazione, dall’altro il greenwashing che mina la credibilità delle vere azioni per la sostenibilità.
“Abbiamo raccontato per anni il cambiamento climatico come un problema del futuro. Oggi, invece, dobbiamo spiegare che il futuro è già qui e trasformare l’informazione in consapevolezza e azione”, spiega Stefania Divertito, giornalista ambientale ed esperta di comunicazione istituzionale, per quattro anni a capo dell’ufficio stampa del Ministero dell’Ambiente, poi Ministero della Transizione Ecologica.
In questa intervista affrontiamo con lei le sfide della comunicazione ambientale, il ruolo dei media nella lotta alle fake news e le strategie per coinvolgere cittadini e imprese in un cambiamento concreto.
Quali sono le principali difficoltà nel comunicare le tematiche ambientali al grande pubblico? Quali strategie possono rendere più accessibili i concetti complessi legati alla sostenibilità?
Questa è la domanda delle domande per noi comunicatori e giornalisti ambientali. Il tema della sostenibilità è estremamente complesso e richiede competenze multidisciplinari: dalla fisica alla chimica, dalla meteorologia alla geopolitica. È una ricchezza, perché permette di collegare molteplici aspetti della società, ma al tempo stesso è una sfida, perché implica una comunicazione trasversale su più fronti.
Immaginiamo un giornale: il tema ambientale dovrebbe essere presente in ogni sezione, dall’economia alla politica, dalla cronaca alla cultura. Tuttavia, oggi ci scontriamo con un problema evidente: viviamo in una società sempre più polarizzata, con un’attenzione ridotta e condizionata dallo scroll rapido sui social media. Questo crea un corto circuito tra la necessità di raccontare questioni complesse e la velocità con cui il pubblico consuma le informazioni.
Per superare questa difficoltà, dobbiamo semplificare senza banalizzare. È essenziale calare il tema nella realtà quotidiana delle persone, far capire loro come la sostenibilità impatta direttamente sulla loro vita.
Per molti anni la comunicazione climatica ha adottato un approccio apocalittico, con messaggi come “nel 2100 accadrà”, “nel 2050 saremo estinti”, “il pianeta diventerà invivibile”. Questo linguaggio è stato utile per attirare l’attenzione, ma oggi rischia di essere controproducente: il pubblico è assuefatto e bombardato da allarmi continui, che finiscono per generare indifferenza e senso di impotenza.
Oggi, quindi, la vera sfida è superare la comunicazione basata sulla paura e costruire una narrazione più concreta, coinvolgente e immediata, che renda le persone protagoniste del cambiamento senza sommergerle di numeri e scenari catastrofici.
Fake news e greenwashing sono due grandi minacce alla corretta informazione ambientale. Come possiamo contrastarli in modo efficace? Qual è il ruolo dei media e delle istituzioni in questo scenario?
Il ruolo dei media e delle istituzioni è fondamentale. Vengo da un giornalismo nato con la macchina da scrivere e ho avuto il privilegio di attraversare tutte le trasformazioni del settore fino all’era digitale. Ma una cosa non è mai cambiata: l’importanza della formazione.
Per contrastare fake news e greenwashing, i giornalisti devono acquisire competenze solide, essere in grado di riconoscere quando un’informazione è falsa o quando un’azienda fa operazioni di marketing ambientale ingannevole. Questo richiede una formazione continua, che non può più riguardare solo chi si occupa specificamente di ambiente.
Un tempo il giornalismo ambientale era considerato una nicchia. Abbiamo lottato per ottenere spazi dedicati sui giornali, nei telegiornali, nelle redazioni. Oggi, però, la situazione è cambiata: le competenze ambientali devono permeare tutto il mondo dell’informazione, dall’economia alla politica estera, dalla cronaca locale agli approfondimenti internazionali.
Un fenomeno interessante è che molte aziende realmente impegnate nella sostenibilità oggi scelgono di non comunicarlo, per paura di essere accusate di greenwashing. Stiamo entrando in una fase in cui essere sostenibili ma non dichiararlo sembra una strategia difensiva. Questo è un paradosso su cui dovremmo riflettere.
Come si può coinvolgere attivamente il pubblico nella transizione ecologica? Quali strumenti funzionano meglio per sensibilizzare cittadini e imprese senza cadere nella retorica?
Questa domanda presuppone che il pubblico non sia adeguatamente sensibile al tema, ma le ricerche dimostrano il contrario. Un recente studio indica che l’85% dei consumatori italiani presta attenzione alla sostenibilità quando fa acquisti e preferisce aziende impegnate nel recupero delle materie prime.
Quindi, il punto non è più solo sensibilizzare, ma fornire strumenti concreti per permettere ai cittadini di agire.
Io credo molto nel buon esempio. Se le istituzioni chiedono ai cittadini di adottare comportamenti sostenibili, devono essere credibili nelle loro scelte. Un governo, un’amministrazione locale o un’organizzazione che promuove la transizione ecologica ma poi nelle sue scelte politiche ed economiche non privilegia realmente la sostenibilità, risulta meno credibile.
Oggi le imprese stanno andando in questa direzione prima ancora della politica. I cittadini percepiscono quando una campagna di comunicazione è autentica e quando è solo un’operazione di facciata.
Il linguaggio della sostenibilità è cambiato negli ultimi anni. Quali sono oggi i format e i canali digitali più efficaci per parlare di ambiente? I social media sono un’opportunità o un rischio per una comunicazione corretta?
Questa domanda presuppone che il pubblico non sia adeguatamente sensibilizzato ma le ricerche dimostrano il contrario. Un recente studio indica che l’85% dei consumatori italiani presta attenzione alla sostenibilità quando fa acquisti e considera questo aspetto nelle proprie scelte di consumo.
Quindi, il punto non è più solo sensibilizzare, ma fornire strumenti concreti per permettere alle persone di agire.
Io credo molto nel buon esempio. Se le istituzioni chiedono ai cittadini di adottare comportamenti sostenibili, devono essere credibili nelle loro scelte. Un governo o un’amministrazione che promuove la transizione ecologica ma poi nelle sue politiche economiche non favorisce la sostenibilità, risulta meno credibile e le campagne di comunicazione rischiano di essere percepite come vuote.
Oggi le imprese stanno avanzando in questa direzione più velocemente della politica, e i cittadini lo percepiscono chiaramente. Una comunicazione ambientale efficace deve essere autentica, concreta e coerente.
Quali campagne o progetti ritieni esempi virtuosi di comunicazione ambientale? Cosa possiamo imparare dalle best practice esistenti?
Negli ultimi mesi ho notato che le campagne di coinvolgimento dal basso stanno tornando molto efficaci.
Ad esempio, le iniziative di raccolta rifiuti sulle spiagge, la riforestazione urbana e le azioni di sensibilizzazione locali hanno un impatto concreto e generano partecipazione attiva.
Un caso interessante è stata un’inchiesta sul fast fashion, realizzata da un insider che ha documentato le condizioni di lavoro in una fabbrica asiatica. Il messaggio è stato veicolato con un reel di pochi secondi, ma ha avuto un impatto enorme, raggiungendo anche un pubblico che normalmente non si interessa a questi temi.
Un altro esempio è l’inchiesta di Greenpeace sulle “navi fantasma” russe nel Mediterraneo: prima pubblicata su un media tradizionale, poi rilanciata sui social. Questo dimostra che quando stampa e social media lavorano insieme, il messaggio arriva più lontano e con maggiore efficacia.
Guardando al futuro, quali saranno le principali sfide della comunicazione ambientale? Quale consiglio daresti ai professionisti del settore?
La sfida più grande è l’eccesso di informazioni negative. Siamo bombardati ogni giorno da notizie deprimenti: crisi climatiche, disastri ambientali, governi che fanno passi indietro sulla sostenibilità. Questo può generare apatia e senso di impotenza.
Dobbiamo prendere le distanze dal flusso continuo di notizie e costruire una comunicazione che guardi al lungo termine.
Ai giovani consiglio di essere trasversali, leggere fonti internazionali e sviluppare una visione ampia, perché la sostenibilità non è un settore a sé, ma un tema che attraversa ogni ambito della società. Noi siamo passati da una fase che io chiamavo rebus a una fase da dilemma. Prima avevamo poche informazioni e le dovevamo cercare, oggi ne abbiamo troppe e dobbiamo scegliere quali sono quelle giuste che ci servono a raccontare una storia.