DALL’IDENTITÀ URBANA ALLA COMUNICAZIONE CULTURALE: COME DARE VOCE AI TERRITORI SENZA CADERE NEGLI STEREOTIPI LA CULTURA DELLE CITTÀ
DI UMBERTO CROPPI, CONSULENTE PER LA COMUNICAZIONE E IL MANAGEMENT CULTURALE
Quella che la città, ogni città, debba essere considerata come un organismo vivente è un’affermazione ormai scontata.
Meno scontate appaiono le conseguenze che se ne debbono trarre. Un aggregato complesso, di vite, di muri, di connessioni si comporta proprio come un essere vivente, mai statico, in continua evoluzione/involuzione, segnato dal tempo, dai suoi cicli. La prima considerazione che ne discende è che è proprio il suo “corpo” a raccontarsi, a parlare di sé. Vi è una sostanza che precede e travalica ogni narrazione possibile, il tentativo di imbrigliarla in un’attività posticcia di comunicazione corre spesso il rischio di alterarne la percezione. Raccontare in maniera efficace una città significa assecondarne le pulsioni, coglierne i significati, anche quelli meno evidenti, e sottolinearne le linee di sviluppo.
Provo a spiegarmi. Tutti i tentativi di pianificare un tessuto urbano, di regolarne l’uso si sono rivelati fallimentari, lo si vede soprattutto nelle città di fondazione. Ricordo due esempi evidenti: la città indiana di Chandigarh, progettata da Le Corbusier, e quella della capitale del Pakistan, frutto del lavoro di un’equipe di architetti greci; in entrambi i casi quanto pensato in astratto, pur da grandi professionisti, è stato in brevissimo tempo modificato da chi quegli ambienti ha abitato. Questi ne hanno modificato la fisionomia, creando percorsi non progettati, stabilendo luoghi di aggregazioni, modificando la dislocazione delle funzioni.
Dinamiche analoghe valgono anche per quelle metropoli che affondano la loro storia nei millenni, come Roma, Istanbul, il Cairo. Gli interventi edilizi e urbanistici che si sono sovrapposti nella loro stratificazione non solo sono stati plasmati dal contesto sociale e culturale, ma sono stati a loro volta ridisegnati dall’uso e dall’attribuzione di senso operata dai viventi. È questa la dimostrazione che l’aggregato urbano vive di vita autonoma, costruisce sé stesso, acquisendo fisionomia e caratteri non prevedibili.
Gli attributi che esprimono i significati (quelli che vengono definiti “significanti”) di una città sono dunque eminentemente culturali. Lo sono in senso lato, sono cioè formati dai comportamenti, dai bisogni materiali e immateriali, dalla condivisione di sentimenti, aspettative, speranze; lo sono in senso stretto, cioè costituiti dalla produzione di arte, di musica, di letteratura e dalla sua rappresentazione drammaturgica, dalla poesia, che ne costituiscono la complessiva e cangiante estetica.
Come dunque raccontare (e perché) tutto questo? Chi si assegna il compito di comunicare una città, sia esso un amministratore, un operatore di marketing, un letterato, deve innanzitutto avere ben chiaro il fine del proprio operato.
Cosa si vuole ottenere parlandone? Un maggiore afflusso di turisti? Un posizionamento rispetto ad altre metropoli? Un ruolo politico?
Una saggia comunicazione non può limitarsi a vendere un prodotto, deve essere per prima cosa rivolta a rendere produttiva e visibile la rete di relazioni e le potenzialità a disposizione di chi la città abita; a favorire un’acquisizione di consapevolezza del proprio esserci, di quanto ognuno da e prende dall’ambiente in cui vive.
In secondo luogo, le azioni mirate a promuovere un determinato spazio devono rifuggire dalla costante tentazione, fortemente presente per la nostra Capitale, di confermare gli stereotipi che lo identificano. James Joyce diceva che Roma è come un uomo che si mantiene mostrando ai viaggiatori il cadavere di sua nonna. E, in effetti, l’offerta che si propone è spesso quella di una città sprofondata nel suo passato remoto, quando invece bisognerebbe bilanciare questo suo carattere sottolineandone gli aspetti vivi e vitali. Roma è una città contemporanea, in cui la creatività è quotidianamente alimentata in tutti i suoi aspetti, una scena che ha solo bisogno di essere incoraggiata, sostenuta, rivelata. Nel concentrare la sua comunicazione sugli elementi scontati ci si dimentica spesso di implementare quei canali, quei circuiti, che fanno leggere i territori della musica, dell’arte, della letteratura, del teatro. Roma è una città che, nonostante i deficit infrastrutturali, offre un ambiente di vita straordinario, fatto di paesaggio, di clima, ma soprattutto di umanità. Tutto ciò deve essere tenuto presente prima di parlare degli strumenti con cui “spiegarla”, questi debbono essere rivolti a lasciare che essa si racconti.
Ciò detto, come si sa, la comunicazione strutturata si compone di un mix di azioni eterodirette, che compongono un caleidoscopio non perfettamente determinabile. Chi è chiamato per scelta professionale o per dovere istituzionale, a utilizzarne le leve ha quindi il dovere di avere chiari gli effetti che la propria azione produce, fissare obiettivi e cercare, per quanto possibile, di coordinare i messaggi.
Non sono mai sufficienti le risorse disponibili per l’utilizzo degli strumenti tipici di questa attività, bisogna pertanto rendere al massimo efficaci quelli che si utilizzano, individuando obiettivi e target e concentrando l’attenzione sui canali internazionali. È necessario spostare l’attenzione da ciò che è scontato verso quello che di solito sfugge, puntare sulla produzione e sugli eventi, più che sulle icone.
Non c’è bisogno di sottolineare che l’onnipresenza della rete e, soprattutto, dei social, renda possibile quello che prima era affidato solo a iniziative parziali e investimenti mirati. Dunque, è lì che bisogna investire, dando la possibilità di esporsi a quel substrato di energie che costituiscono il tessuto vitale della città.
Senza intenti polemici, ritengo che non sia una campagna di affiches negli aeroporti, né una promessa di meraviglie a migliorare l’immagine del nostro Paese, quanto piuttosto una corretta rappresentazione di quanto siamo in grado di condividere in termini di storia ma anche di vita vissuta.